
Si osserva che, mentre in presenza di una condotta corruttiva della governance aziendale è agevole desumere che l’accordo così illecitamente concluso è teso a favorire l’impresa nei rapporti con la pubblica amministrazione, ossia è stato concluso nell’interesse dell’impresa, una tale considerazione appare, almeno prima facie, impossibile riportarla con riferimento alla morte di un lavoratore dovuta alla mancata negligente predisposizione da parte del datore di lavoro di idonee misure tese a neutralizzare la potenzialità patogena di determinate sostanze, in quanto, ad esempio, non conosciute come lesive dell’altrui incolumità da parte dell’imprenditore stesso.
In quest’ultimo caso, è evidente che la condotta del singolo, proprio in quanto di carattere colposo, è priva della volontà di cagionare danni a terzi, essendo tale ultimo elemento, ossia la non volontarietà della produzione delle conseguenze negative della propria condotta negligente ed imprudente, a differenziare l’atteggiamento colposo da quello doloso.
Con la conseguenza che, come si vedrà, con riferimento al modello di responsabilità delineato dall’art. 25 septies, non può essere mantenuta la lettura data da dottrina e giurisprudenza – con riferimento ai reati presupposto di carattere doloso – del prima citato art. 5, co. 1, in base alla quale i criteri dell’ “interesse” e del “vantaggio” rappresenterebbero l’intento del legislatore di sanzionare la persona giuridica, laddove il reato commesso dal soggetto agente sia motivato dall’intento di avvantaggiare l’ente di appartenenza. Una simile conclusione sarà, infatti, ardua da sostenere con riferimento agli eventi lesivi conseguenti alle condotte negligenti tenute dalla persona fisica, trattandosi di comportamenti privi di qualsiasi intenzionalità criminosa, rispetto alla produzione dell’evento del reato.
Sempre il carattere colposo dei reati presupposto presi in considerazione dall’art. 25 septies, induce ad interrogarsi su un’ulteriore problematica che guarda da vicino la definizione di quale colpevolezza debba essere addebitata all’ente, nei casi di omicidio e lesioni connesse alle violazioni prevenzionistiche.
Trattandosi di reati di carattere colposo commessi dalle persone fisiche, il rimprovero (di tipo normativo) a queste rivolto, si fonda sui giudizi di prevedibilità ed evitabilità della produzione dell’evento dannoso, conseguente alla condotta antidoverosa tenuta nel caso concreto dal soggetto agente. Giudizi, nella maggior parte dei casi, di tipo specifico, nel senso che trovano cristallizzazione nella norma primaria, ora codificata nel d.lgs. 81/08.
La colpa dell’ente, o meglio, la colpa di organizzazione dell’ente, quale delineata dagli artt. 6 e 7, d.lgs. 231/01 si fonda anch’essa su un rimprovero di tipo normativo, consistente nell’omessa adozione, da parte dell’ente, di un modello di condotta capace di evitare la verificazione di reati della stessa specie di quelli commessi.
La colpevolezza dell’ente, in altri termini, consiste in una colpa d’organizzazione conseguente alla mancata predisposizione di una struttura organizzativa interna, dotata di efficacia preventiva rispetto alla commissione dei reati presupposto codificati.