
In tema di responsabilità penale degli enti, l’interesse dell’autore del reato può coincidere con quello dell’ente, ma la responsabilità di quest’ultimo sussiste anche quando, perseguendo il proprio autonomo interesse, l’agente obiettivamente realizzi anche quello dell’ente. Ne consegue che, perché possa ascriversi all’ente la responsabilità per il reato, è sufficiente che la condotta dell’autore di quest’ultimo tenda oggettivamente e concretamente a realizzare, nella prospettiva del soggetto collettivo, anche l’interesse non strettamente economico del medesimo.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE , SENTENZA 9 gennaio 2018, n.295 – Pres. Diotallevi – est. Pacilli
In particolare, relativamente alla nozione dell’interesse esclusivo dell’agente che ha commesso il reato presupposto, si è osservato che essa va individuata nei “fatti illeciti posti in essere nel loro interesse esclusivo, per un fine personalissimo o di terzi. In sostanza, con condotte estranee alla politica di impresa”: Cass. 3615/2005 cit. A contrario, ed in positivo, si può quindi ritenere che le condotte dell’agente, poste in essere nell’interesse dell’ente, sono quelle che rientrano nella politica societaria ossia tutte quelle condotte che trovano una spiegazione ed una causa nella vita societaria. Più agevole la definizione del “vantaggio”, che va inteso come la “potenziale o effettiva utilità, ancorché non necessariamente di carattere patrimoniale, derivante dalla commissione del reato presupposto”: Cass. 24583/2011 Rv. 249822 (in motivazione), valutabile “ex post”, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito.
Siffatti principi sono stati correttamente applicati dalla Corte territoriale, che ha ritenuto che il reato commesso dall’imputato “T.F. , amministratore unico e legale rappresentante della Molino del Salento s.p.a. fu realizzato nell’interesse e a vantaggio della società dal medesimo gestita. La società amministrata dal T. ottenne ingenti ed indebiti finanziamenti agevolati, consolidando così la propria posizione sul mercato di riferimento, mediante l’ingente iniezione di liquidità ottenuta grazie alla condotta illecita posta in essere da un suo organo apicale, e incrementò illecitamente le proprie disponibilità finanziarie, sfruttando un indebito vantaggio concorrenziale, mediante l’ottenimento di ingenti contributi agevolati per investimenti, giustificati solo nella misura in cui ad essi si fosse accompagnato un contestuale esborso di denaro da parte della società finanziata”.
In definitiva, la Corte territoriale ha ritenuto dimostrato che il soggetto, ricoprente all’interno della società posizioni apicali, ha commesso il reato presupposto nell’interesse (inteso come proiezione finalistica dell’azione) o a vantaggio (inteso come potenziale ed effettiva utilità anche di carattere non patrimoniale ed accertabile in modo oggettivo) dell’ente, con la conseguenza che non essendo stato neppure dedotto che l’ente avesse adottato un idoneo modello di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati, l’affermazione di responsabilità dell’ente non presta il fianco ad alcuna censura.