
Con la sentenza n. 9072/2018, la Cassazione Penale – Sezione III, si è espressa su una questione di puro diritto riguardante gli effetti che la sentenza di esclusione della punibilità del fatto, nei confronti dell’autore materiale del reato presupposto, produce sul procedimento penale a carico dell’ente, cui si addebita la responsabilità dell’illecito ammnistrativo ad esso connesso ex D. Lgs. 231/2001.
Il problema è sorto a seguito di ricorso, per violazione degli artt. 8 e 66 del D.Lgs. 231/2001, proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Firenze, dopo che il Tribunale di Grosseto (sentenza del 7/03/2017) aveva prosciolto, ex art. 131bis Cod. Pen., gli imputati dal reato di attività non autorizzata di gestione rifiuti pericolosi, e di conseguenza aveva assolto l’ente dall’illecito amministrativo contestato.
Vi è da dire che la questione posta al vaglio della Cassazione non trova soluzione espressa a livello legislativo, poiché l’art. 8 del D. Lgs. 231/2001 determina in positivo e tassativamente i casi in cui l’illecito amministrativo sopravvive indipendentemente dal reato, limitando solo ad essi la previsione di un’autonoma responsabilità dell’ente, tra cui non rientrano le ipotesi di non punibilità del reato.
Pertanto, in assenza di soluzioni legislative, sono due le interpretazioni proposte. Secondo una prima interpretazione dottrinale, l’art. 131 bis Cod. Pen. trova applicazione anche con riferimento alla responsabilità dell’ente, sostenendo, a contrario, che il predetto art. 8 fa riferimento soltanto alle cause di estinzione del reato e non anche alle cause di non punibilità, per le quali la norma dunque non troverebbe applicazione.
Secondo un’altra interpretazione (sostenuta nella sentenza in commento), invece, sarebbe irragionevole adottare un trattamento differenziato tra le ipotesi di estinzione e di non punibilità del reato, che comporterebbe un trattamento sfavorevole per la persona giuridica. Infatti, la Cassazione, con un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 131bis, rileva che un’incidenza della sentenza di applicazione di tale norma, nel giudizio relativo alla responsabilità della persona giuridica, violerebbe in modo irrimediabile, il diritto di difesa della persona giuridica stessa. Tale violazione deriva dal fatto che la sentenza dichiarativa della causa di non punibilità ex. art. 131bis Cod. Pen. incide solo sugli aspetti sanzionatori del fatto, senza mettere in discussione la sussistenza del reato, né dal punto di vista storico, né dal punto di vista giuridico.
Pertanto, in caso di proscioglimento della persona fisica autrice del reato presupposto per particolare tenuità del fatto, il giudice deve procedere all’autonomo accertamento della sussistenza dell’illecito amministrativo e, dunque, alla responsabilità dell’ente.
A ciò è da aggiungere che l’art. 131bis Cod. Pen., introdotto dal D. Lgs. n. 28/2015, è un istituto di natura sostanziale, applicabile sin dalla fase delle indagini preliminari, la cui valutazione si fonda su criteri soggettivi relativi alla personalità del reo, escludendo l’estensibilità della sua operatività anche agli eventuali concorrenti nel reato. Di conseguenza, non si comprende come tale istituto potrebbe ritenersi automaticamente estensibile all’ente, il cui illecito si sostanzia in un fatto diverso, che non si esaurisce nel reato.
Da ultimo la lacuna normativa introdotta dal D. Lgs. n. 28/2015 non appare neppure superabile facendo ricorso agli artt. 34 e 35 del D. Lgs. 231/2001 che, estendono all’ente, in quanto compatibili, le norme penali e processuali e non gli istituti di diritto penale sostanziale.
Alla luce delle argomentazioni suesposte, la Suprema Corte conclude affermando il seguente principio di diritto: “In tema di responsabilità degli enti, in presenza di una sentenza di applicazione della particolare tenuità del fatto, nei confronti della persona fisica responsabile della commissione del reato, il giudice deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio il reato fu commesso”.
La decisione assunta dalla Corte di Cassazione sembra rispondere perfettamente al principio generale per cui la persona giuridica è entità diversa ed autonoma rispetto alla persona fisica tale per cui “quid universitas debet, singuli non debent; quid universitati debetur, singulis non debetur”.